Fai il musicista? Sì, ma di lavoro vero cosa fai?

Studiare musica, oggi, significa confrontarsi non solo con la tecnica, l’arte e la creatività, ma anche con una società che spesso fatica a riconoscere il valore professionale di questo percorso. La frase “Sì, ma di lavoro vero cosa fai?” non è solo una domanda: è il riflesso di una mentalità profondamente radicata che associa il concetto di lavoro solo a ciò che comporta fatica fisica, routine e risultati economici immediati.
In una recente discussione online, centinaia di persone hanno condiviso esperienze e opinioni su questo tema, dimostrando quanto sia ancora diffusa l’incomprensione verso chi sceglie un percorso artistico. Tra i commenti più ricorrenti emerge la difficoltà di farsi riconoscere come professionisti se non si riesce ancora a “vivere di musica”. Un utente ha scritto: “Ogni attività diventa reale dal momento in cui riesci a vivere di quello. Sei uno studente, non vivi di musica, dunque non lamentarti se delle persone ti fanno delle domande”.
Un altro ha osservato: “Il musicista artista che non riesce a entrare nell’olimpo del mainstream sarà sempre obbligato a fare le marchette musicali. Triste verità che nessuno dice”. Questa visione, seppur disillusa, riflette un problema reale: la difficoltà di emergere e la necessità di diversificare il proprio ruolo professionale, diventando al contempo produttori, insegnanti, tecnici del suono, consulenti o performer.
Eppure, tra le testimonianze non mancano le parole di chi ha trovato soddisfazione nel proprio percorso, anche senza fama o stipendi da capogiro. “Io sono 10 anni che combatto appresso a Logic, Ableton, campionatori… e finché non dici di guadagnare soldi nessuno lo considera un lavoro. Ora che iniziamo a guadagnarci qualcosa, le cose cambiano, ma per anni mio zio diceva che mi stavo solo divertendo”.
Eppure, tra le testimonianze non mancano le parole di chi ha trovato soddisfazione nel proprio percorso, anche senza fama o stipendi da capogiro. “Io sono 10 anni che combatto appresso a Logic, Ableton, campionatori… e finché non dici di guadagnare soldi nessuno lo considera un lavoro. Ora che iniziamo a guadagnarci qualcosa, le cose cambiano, ma per anni mio zio diceva che mi stavo solo divertendo”.
Dice un nostro studente: “Questa esperienza personale rispecchia la situazione di molti studenti di musica. E anche se, come nel mio caso, si è ancora in fase di formazione e crescita, è importante sottolineare il valore del percorso scelto. Frequento la Jam Academy a Lucca, una realtà formativa professionale, umana e profondamente legata al mondo della produzione musicale. Un ambiente che stimola lo studio ma anche l’applicazione pratica, con docenti preparati, strutture professionali e una mentalità internazionale.”
Lo studio è solo l’inizio. Sappiamo bene che oggi il musicista moderno non può essere solo un artista: deve conoscere il marketing, saper promuovere il proprio lavoro, relazionarsi con i social e adattarsi a un mercato in costante evoluzione. In molti commenti si parlava proprio di questo: della necessità di “piazzarsi” come figura ibrida e consapevole.
L’articolo non vuole negare le difficoltà. Anzi, intende metterle in luce per mostrare che dietro ogni percorso musicale ci sono ore di studio, sacrifici e una determinazione pari, se non superiore, a quella richiesta da molte altre professioni.
Forse è tempo di cambiare domanda: non più “di lavoro vero cosa fai?”, ma “cosa stai costruendo per il tuo futuro?”. Perché anche questo è lavoro, eccome